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Lorenzo Maria Pacini
March 30, 2025
© Photo: Public domain

Si è tornati a discutere del Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Chi l’avrebbe mai detto che la demagogia dell’UE avrebbe avuto bisogno di una mossa tanto ridicola pur di esercitare un po’ di pressione nei confronti dei cittadini.

Segue nostro Telegram.

Un manifesto che non ha richiesto nessuno

Si è tornati a discutere del Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Chi l’avrebbe mai detto che la demagogia dell’UE avrebbe avuto bisogno di una mossa tanto ridicola pur di esercitare un po’ di pressione nei confronti dei cittadini.

Il Manifesto sostiene che il nazionalismo e la sovranità assoluta degli Stati hanno portato a conflitti distruttivi: la pace duratura non può essere garantita dalla semplice restaurazione degli Stati indipendenti dopo la Seconda guerra mondiale. Il vero obiettivo non dovrebbe essere solo la sconfitta del nazifascismo, ma la costruzione di un nuovo ordine politico che superi le rivalità tra nazioni.

La proposta centrale è la creazione di una federazione europea, dotata di un’autorità sovranazionale capace di prevenire i conflitti e garantire il benessere collettivo. Questa federazione avrebbe il compito di gestire le politiche economiche e sociali, superando le divisioni nazionali e creando un vero governo europeo.

Il Manifesto sostiene che la fine della guerra dovrà essere seguita da una trasformazione radicale della società. Non basta rimuovere le dittature: bisogna abbattere le vecchie strutture economiche che favoriscono le disuguaglianze. Gli autori riconoscono la necessità di una riforma sociale che limiti il potere delle grandi concentrazioni economiche e garantisca giustizia sociale. Tuttavia, non propongono un modello marxista, bensì un socialismo democratico che, secondo loro, tuteli le libertà individuali.

Spinelli e Rossi sottolineano che il cambiamento non può avvenire attraverso il ripristino delle vecchie élite, ma grazie a movimenti progressisti capaci di superare le ideologie del passato e vedono nella resistenza antifascista l’inizio di questo processo, ma avvertono del rischio che, una volta finita la guerra, le forze conservatrici tentino di restaurare il vecchio ordine.

Le idee espresse nel Manifesto di Ventotene influenzarono profondamente il processo di integrazione europea. Dopo la guerra, Spinelli divenne uno dei principali promotori dell’unificazione europea, contribuendo alla nascita della Comunità Europea e ispirando il progetto dell’Unione Europea.

Chi non muore si rivede

Giorgia Meloni, custode del neoliberismo italico, lo ha attaccato, mentre Roberto Benigni, cantore del pensiero unico liberal-progressista, lo ha esaltato. Il solito siparietto, una mossa già nota. si propone sia la via dei conservatori, sia quella dei progressisti, purché il dissenso vena incanalato entro confini già perimetrati.

Il Manifesto di Ventotene rappresenta la base dell’antisovranismo di sinistra ed è perfettamente in linea con la trasformazione liberal e fortemente anticomunista della nuova sinistra, funzionale al consolidamento dei rapporti di forza dominanti. Questo Manifesto ha effettivamente giocato un ruolo decisivo nel legittimare e, allo stesso tempo, mascherare l’integrazione delle sinistre post-marxiste nel capitalismo trionfante e nell’ordine mondiale liberista. Con il suo carattere antifascista ma al tempo stesso anticomunista, è diventato la piattaforma ideale per il riassetto liberal della sinistra, che da un lato condanna i totalitarismi del passato, ma dall’altro accetta senza resistenze la violenza sistemica dell’economia classista, a cui ha ceduto sia la ragione che il sentimento.

L’idea centrale dei firmatari era che l’unico modo per porre fine ai conflitti tra Stati sovrani, che avevano portato alle guerre mondiali, fosse il trasferimento della loro sovranità a un’autorità federale, anticipando di fatto la nascita dell’Unione Europea. Tuttavia, per quanto nobili fossero le istanze socialiste del Manifesto, esse erano destinate a restare irrealizzabili nel contesto di una sovra-nazionalizzazione che, svuotando le sovranità nazionali, non avrebbe portato – contrariamente alle aspettative ingenue dei suoi autori – a un socialismo cosmopolita, ma al dominio transnazionale delle élite economiche.

L’“Europa libera e unita” evocata dal Manifesto si è realizzata, con l’Unione Europea, solo per le classi dominanti, le uniche davvero “libere e unite” nel loro sfruttamento senza vincoli dei ceti subalterni. In questo senso, i firmatari del Manifesto di Ventotene si ritrovano nella figura hegeliana dell’“anima bella” (schöne Seele), le cui nobili aspirazioni vengono travolte dal corso reale degli eventi (Weltlauf). A differenza loro, Lenin aveva ben chiaro che, in un sistema capitalistico, la creazione degli Stati Uniti d’Europa non avrebbe fatto altro che rafforzare il potere del grande capitale a scapito delle classi lavoratrici.

Per questo, il Manifesto di Ventotene va respinto: va rigettato da una prospettiva leninista e gramsciana, nella consapevolezza che l’UE non è il sogno democratico che Benigni immagina, bensì l’incarnazione dell’ipercapitalismo antidemocratico, che oggi rappresenta il principale nemico delle classi lavoratrici in Europa.

Non oportet

Come ha mirabilmente sottolineato il costituzionalista prof. Daniele Trabucco, Aristotele, nella Politica, descrive la polis come un’entità organica, la cui esistenza è necessaria affinché l’uomo possa realizzare la propria natura politica e morale. La sovranità non è un semplice strumento amministrativo, ma rappresenta il vincolo profondo che unisce i cittadini, i quali condividono leggi, tradizioni e un comune orientamento verso il bene collettivo.

Il Manifesto di Ventotene, invece, considera la sovranità nazionale (nel suo significato moderno) come un ostacolo al progresso, promuovendo l’idea di una federazione europea che, invece di rafforzare la libertà, rischia di ridurre gli individui a semplici ingranaggi burocratici privi di un’autentica appartenenza civica.

L’idea di un’autorità sovranazionale slegata dai legami identitari contraddice l’insegnamento aristotelico, secondo cui una comunità politica deve basarsi su rapporti di reciprocità e su un ethos condiviso.

L’errore degli autori di Ventotene è tipico dell’astrattismo razionalista: immaginare che un ordine politico possa essere costruito su un progetto teorico, trascurando il fatto che lo Stato non è una costruzione artificiale, ma una realtà concreta, sviluppata nel tempo attraverso l’esperienza storica e il patrimonio culturale di un popolo.

La modernità, a partire da Machiavelli e Hobbes, ha infatti ribaltato l’idea dello Stato come realtà teleologica orientata alla giustizia: esso diviene un’entità in continua evoluzione, non più guidata da una legge naturale oggettiva, ma dalla volontà politica e dal gioco delle forze in campo; di conseguenza, il potere non è più visto come un mezzo per realizzare un ordine giusto, ma come una realtà autonoma, che si ridefinisce costantemente attraverso il conflitto e la negoziazione.

Ventotene chi?

Si è tornati a discutere del Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Chi l’avrebbe mai detto che la demagogia dell’UE avrebbe avuto bisogno di una mossa tanto ridicola pur di esercitare un po’ di pressione nei confronti dei cittadini.

Segue nostro Telegram.

Un manifesto che non ha richiesto nessuno

Si è tornati a discutere del Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Chi l’avrebbe mai detto che la demagogia dell’UE avrebbe avuto bisogno di una mossa tanto ridicola pur di esercitare un po’ di pressione nei confronti dei cittadini.

Il Manifesto sostiene che il nazionalismo e la sovranità assoluta degli Stati hanno portato a conflitti distruttivi: la pace duratura non può essere garantita dalla semplice restaurazione degli Stati indipendenti dopo la Seconda guerra mondiale. Il vero obiettivo non dovrebbe essere solo la sconfitta del nazifascismo, ma la costruzione di un nuovo ordine politico che superi le rivalità tra nazioni.

La proposta centrale è la creazione di una federazione europea, dotata di un’autorità sovranazionale capace di prevenire i conflitti e garantire il benessere collettivo. Questa federazione avrebbe il compito di gestire le politiche economiche e sociali, superando le divisioni nazionali e creando un vero governo europeo.

Il Manifesto sostiene che la fine della guerra dovrà essere seguita da una trasformazione radicale della società. Non basta rimuovere le dittature: bisogna abbattere le vecchie strutture economiche che favoriscono le disuguaglianze. Gli autori riconoscono la necessità di una riforma sociale che limiti il potere delle grandi concentrazioni economiche e garantisca giustizia sociale. Tuttavia, non propongono un modello marxista, bensì un socialismo democratico che, secondo loro, tuteli le libertà individuali.

Spinelli e Rossi sottolineano che il cambiamento non può avvenire attraverso il ripristino delle vecchie élite, ma grazie a movimenti progressisti capaci di superare le ideologie del passato e vedono nella resistenza antifascista l’inizio di questo processo, ma avvertono del rischio che, una volta finita la guerra, le forze conservatrici tentino di restaurare il vecchio ordine.

Le idee espresse nel Manifesto di Ventotene influenzarono profondamente il processo di integrazione europea. Dopo la guerra, Spinelli divenne uno dei principali promotori dell’unificazione europea, contribuendo alla nascita della Comunità Europea e ispirando il progetto dell’Unione Europea.

Chi non muore si rivede

Giorgia Meloni, custode del neoliberismo italico, lo ha attaccato, mentre Roberto Benigni, cantore del pensiero unico liberal-progressista, lo ha esaltato. Il solito siparietto, una mossa già nota. si propone sia la via dei conservatori, sia quella dei progressisti, purché il dissenso vena incanalato entro confini già perimetrati.

Il Manifesto di Ventotene rappresenta la base dell’antisovranismo di sinistra ed è perfettamente in linea con la trasformazione liberal e fortemente anticomunista della nuova sinistra, funzionale al consolidamento dei rapporti di forza dominanti. Questo Manifesto ha effettivamente giocato un ruolo decisivo nel legittimare e, allo stesso tempo, mascherare l’integrazione delle sinistre post-marxiste nel capitalismo trionfante e nell’ordine mondiale liberista. Con il suo carattere antifascista ma al tempo stesso anticomunista, è diventato la piattaforma ideale per il riassetto liberal della sinistra, che da un lato condanna i totalitarismi del passato, ma dall’altro accetta senza resistenze la violenza sistemica dell’economia classista, a cui ha ceduto sia la ragione che il sentimento.

L’idea centrale dei firmatari era che l’unico modo per porre fine ai conflitti tra Stati sovrani, che avevano portato alle guerre mondiali, fosse il trasferimento della loro sovranità a un’autorità federale, anticipando di fatto la nascita dell’Unione Europea. Tuttavia, per quanto nobili fossero le istanze socialiste del Manifesto, esse erano destinate a restare irrealizzabili nel contesto di una sovra-nazionalizzazione che, svuotando le sovranità nazionali, non avrebbe portato – contrariamente alle aspettative ingenue dei suoi autori – a un socialismo cosmopolita, ma al dominio transnazionale delle élite economiche.

L’“Europa libera e unita” evocata dal Manifesto si è realizzata, con l’Unione Europea, solo per le classi dominanti, le uniche davvero “libere e unite” nel loro sfruttamento senza vincoli dei ceti subalterni. In questo senso, i firmatari del Manifesto di Ventotene si ritrovano nella figura hegeliana dell’“anima bella” (schöne Seele), le cui nobili aspirazioni vengono travolte dal corso reale degli eventi (Weltlauf). A differenza loro, Lenin aveva ben chiaro che, in un sistema capitalistico, la creazione degli Stati Uniti d’Europa non avrebbe fatto altro che rafforzare il potere del grande capitale a scapito delle classi lavoratrici.

Per questo, il Manifesto di Ventotene va respinto: va rigettato da una prospettiva leninista e gramsciana, nella consapevolezza che l’UE non è il sogno democratico che Benigni immagina, bensì l’incarnazione dell’ipercapitalismo antidemocratico, che oggi rappresenta il principale nemico delle classi lavoratrici in Europa.

Non oportet

Come ha mirabilmente sottolineato il costituzionalista prof. Daniele Trabucco, Aristotele, nella Politica, descrive la polis come un’entità organica, la cui esistenza è necessaria affinché l’uomo possa realizzare la propria natura politica e morale. La sovranità non è un semplice strumento amministrativo, ma rappresenta il vincolo profondo che unisce i cittadini, i quali condividono leggi, tradizioni e un comune orientamento verso il bene collettivo.

Il Manifesto di Ventotene, invece, considera la sovranità nazionale (nel suo significato moderno) come un ostacolo al progresso, promuovendo l’idea di una federazione europea che, invece di rafforzare la libertà, rischia di ridurre gli individui a semplici ingranaggi burocratici privi di un’autentica appartenenza civica.

L’idea di un’autorità sovranazionale slegata dai legami identitari contraddice l’insegnamento aristotelico, secondo cui una comunità politica deve basarsi su rapporti di reciprocità e su un ethos condiviso.

L’errore degli autori di Ventotene è tipico dell’astrattismo razionalista: immaginare che un ordine politico possa essere costruito su un progetto teorico, trascurando il fatto che lo Stato non è una costruzione artificiale, ma una realtà concreta, sviluppata nel tempo attraverso l’esperienza storica e il patrimonio culturale di un popolo.

La modernità, a partire da Machiavelli e Hobbes, ha infatti ribaltato l’idea dello Stato come realtà teleologica orientata alla giustizia: esso diviene un’entità in continua evoluzione, non più guidata da una legge naturale oggettiva, ma dalla volontà politica e dal gioco delle forze in campo; di conseguenza, il potere non è più visto come un mezzo per realizzare un ordine giusto, ma come una realtà autonoma, che si ridefinisce costantemente attraverso il conflitto e la negoziazione.

Si è tornati a discutere del Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Chi l’avrebbe mai detto che la demagogia dell’UE avrebbe avuto bisogno di una mossa tanto ridicola pur di esercitare un po’ di pressione nei confronti dei cittadini.

Segue nostro Telegram.

Un manifesto che non ha richiesto nessuno

Si è tornati a discutere del Manifesto di Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Chi l’avrebbe mai detto che la demagogia dell’UE avrebbe avuto bisogno di una mossa tanto ridicola pur di esercitare un po’ di pressione nei confronti dei cittadini.

Il Manifesto sostiene che il nazionalismo e la sovranità assoluta degli Stati hanno portato a conflitti distruttivi: la pace duratura non può essere garantita dalla semplice restaurazione degli Stati indipendenti dopo la Seconda guerra mondiale. Il vero obiettivo non dovrebbe essere solo la sconfitta del nazifascismo, ma la costruzione di un nuovo ordine politico che superi le rivalità tra nazioni.

La proposta centrale è la creazione di una federazione europea, dotata di un’autorità sovranazionale capace di prevenire i conflitti e garantire il benessere collettivo. Questa federazione avrebbe il compito di gestire le politiche economiche e sociali, superando le divisioni nazionali e creando un vero governo europeo.

Il Manifesto sostiene che la fine della guerra dovrà essere seguita da una trasformazione radicale della società. Non basta rimuovere le dittature: bisogna abbattere le vecchie strutture economiche che favoriscono le disuguaglianze. Gli autori riconoscono la necessità di una riforma sociale che limiti il potere delle grandi concentrazioni economiche e garantisca giustizia sociale. Tuttavia, non propongono un modello marxista, bensì un socialismo democratico che, secondo loro, tuteli le libertà individuali.

Spinelli e Rossi sottolineano che il cambiamento non può avvenire attraverso il ripristino delle vecchie élite, ma grazie a movimenti progressisti capaci di superare le ideologie del passato e vedono nella resistenza antifascista l’inizio di questo processo, ma avvertono del rischio che, una volta finita la guerra, le forze conservatrici tentino di restaurare il vecchio ordine.

Le idee espresse nel Manifesto di Ventotene influenzarono profondamente il processo di integrazione europea. Dopo la guerra, Spinelli divenne uno dei principali promotori dell’unificazione europea, contribuendo alla nascita della Comunità Europea e ispirando il progetto dell’Unione Europea.

Chi non muore si rivede

Giorgia Meloni, custode del neoliberismo italico, lo ha attaccato, mentre Roberto Benigni, cantore del pensiero unico liberal-progressista, lo ha esaltato. Il solito siparietto, una mossa già nota. si propone sia la via dei conservatori, sia quella dei progressisti, purché il dissenso vena incanalato entro confini già perimetrati.

Il Manifesto di Ventotene rappresenta la base dell’antisovranismo di sinistra ed è perfettamente in linea con la trasformazione liberal e fortemente anticomunista della nuova sinistra, funzionale al consolidamento dei rapporti di forza dominanti. Questo Manifesto ha effettivamente giocato un ruolo decisivo nel legittimare e, allo stesso tempo, mascherare l’integrazione delle sinistre post-marxiste nel capitalismo trionfante e nell’ordine mondiale liberista. Con il suo carattere antifascista ma al tempo stesso anticomunista, è diventato la piattaforma ideale per il riassetto liberal della sinistra, che da un lato condanna i totalitarismi del passato, ma dall’altro accetta senza resistenze la violenza sistemica dell’economia classista, a cui ha ceduto sia la ragione che il sentimento.

L’idea centrale dei firmatari era che l’unico modo per porre fine ai conflitti tra Stati sovrani, che avevano portato alle guerre mondiali, fosse il trasferimento della loro sovranità a un’autorità federale, anticipando di fatto la nascita dell’Unione Europea. Tuttavia, per quanto nobili fossero le istanze socialiste del Manifesto, esse erano destinate a restare irrealizzabili nel contesto di una sovra-nazionalizzazione che, svuotando le sovranità nazionali, non avrebbe portato – contrariamente alle aspettative ingenue dei suoi autori – a un socialismo cosmopolita, ma al dominio transnazionale delle élite economiche.

L’“Europa libera e unita” evocata dal Manifesto si è realizzata, con l’Unione Europea, solo per le classi dominanti, le uniche davvero “libere e unite” nel loro sfruttamento senza vincoli dei ceti subalterni. In questo senso, i firmatari del Manifesto di Ventotene si ritrovano nella figura hegeliana dell’“anima bella” (schöne Seele), le cui nobili aspirazioni vengono travolte dal corso reale degli eventi (Weltlauf). A differenza loro, Lenin aveva ben chiaro che, in un sistema capitalistico, la creazione degli Stati Uniti d’Europa non avrebbe fatto altro che rafforzare il potere del grande capitale a scapito delle classi lavoratrici.

Per questo, il Manifesto di Ventotene va respinto: va rigettato da una prospettiva leninista e gramsciana, nella consapevolezza che l’UE non è il sogno democratico che Benigni immagina, bensì l’incarnazione dell’ipercapitalismo antidemocratico, che oggi rappresenta il principale nemico delle classi lavoratrici in Europa.

Non oportet

Come ha mirabilmente sottolineato il costituzionalista prof. Daniele Trabucco, Aristotele, nella Politica, descrive la polis come un’entità organica, la cui esistenza è necessaria affinché l’uomo possa realizzare la propria natura politica e morale. La sovranità non è un semplice strumento amministrativo, ma rappresenta il vincolo profondo che unisce i cittadini, i quali condividono leggi, tradizioni e un comune orientamento verso il bene collettivo.

Il Manifesto di Ventotene, invece, considera la sovranità nazionale (nel suo significato moderno) come un ostacolo al progresso, promuovendo l’idea di una federazione europea che, invece di rafforzare la libertà, rischia di ridurre gli individui a semplici ingranaggi burocratici privi di un’autentica appartenenza civica.

L’idea di un’autorità sovranazionale slegata dai legami identitari contraddice l’insegnamento aristotelico, secondo cui una comunità politica deve basarsi su rapporti di reciprocità e su un ethos condiviso.

L’errore degli autori di Ventotene è tipico dell’astrattismo razionalista: immaginare che un ordine politico possa essere costruito su un progetto teorico, trascurando il fatto che lo Stato non è una costruzione artificiale, ma una realtà concreta, sviluppata nel tempo attraverso l’esperienza storica e il patrimonio culturale di un popolo.

La modernità, a partire da Machiavelli e Hobbes, ha infatti ribaltato l’idea dello Stato come realtà teleologica orientata alla giustizia: esso diviene un’entità in continua evoluzione, non più guidata da una legge naturale oggettiva, ma dalla volontà politica e dal gioco delle forze in campo; di conseguenza, il potere non è più visto come un mezzo per realizzare un ordine giusto, ma come una realtà autonoma, che si ridefinisce costantemente attraverso il conflitto e la negoziazione.

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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