Ripercorriamo brevemente uno dei passaggi fondamentali per giungere allo status quo attuale: la dissoluzione dell’ordine che regnava in Europa.
Prima regola, conquistare
La scelta di promuovere un ordine globale dominato dall’egemonia collettiva dell’Occidente dopo la Guerra Fredda ha avuto conseguenze profonde per la sicurezza europea. Era chiaro che l’allargamento della NATO avrebbe compromesso gli sforzi per un’architettura di sicurezza paneuropea inclusiva, portando a una nuova divisione del continente, all’isolamento della Russia e alla riaccensione di conflitti latenti. Molti leader politici avevano avvertito dei rischi di una nuova guerra fredda derivante dall’espansione dell’Alleanza; tuttavia, essa fu perseguita approfittando della debolezza russa, con la convinzione che eventuali crisi potessero essere gestite dall’Occidente. L’espansione della NATO fu concepita come una garanzia contro futuri scontri con la Russia, i quali, paradossalmente, sarebbero stati proprio innescati da tale espansione. Questa contraddizione, che portava l’Occidente a uno scontro diretto con Mosca, divenne un elemento centrale del nuovo assetto mondiale.
Molti sono stati i tentativi di costruire un’architettura di sicurezza paneuropea fondata sui principi westfaliani di sovranità egualitaria, sicurezza indivisibile e un continente senza divisioni. L’espansione della NATO ha invece rifiutato questo equilibrio di potere, favorendo la disuguaglianza di sovranità, rafforzando la propria sicurezza a scapito di quella russa e perpetuando la frammentazione dell’Europa con un’alleanza militare permanente in tempo di pace. La NATO è diventata uno strumento di consolidamento dell’egemonia statunitense in Europa e di contenimento strategico della Russia, ostacolando la sua capacità di ritorsione nucleare. Per Mosca, questi sviluppi rappresentavano una minaccia esistenziale, spingendola a contrastare l’unilateralismo occidentale e a promuovere alternative multilaterali, pur sempre basate sui principi westfaliani.
Una casa comune europea contro un’Europa integra e libera
Dopo la divisione dell’Europa nel secondo dopoguerra, i blocchi capitalista e comunista cercarono di mantenere un equilibrio senza compromettere i rispettivi ordini regionali. Gli Accordi di Helsinki del 1975 segnarono un punto di svolta, stabilendo un quadro comune per la sicurezza europea e rafforzando principi fondamentali come la sovranità eguale, la sicurezza indivisibile e il rispetto dell’integrità territoriale. Contemporaneamente, venivano sanciti principi di giustizia, come l’autodeterminazione dei popoli e il rispetto dei diritti umani.
Questi sviluppi favorirono le riforme interne di Gorbaciov e la sua proposta di una “casa comune europea”, che prevedeva la smilitarizzazione delle relazioni estere con lo scioglimento del Patto di Varsavia e della NATO. Il modello immaginato da Gorbaciov puntava a superare la logica dei blocchi, sostituendoli con un’unica istituzione europea per armonizzare le differenze ideologiche. Gli Stati Uniti, purtuttavia, contrastarono questa visione con il concetto di “Europa intera e libera” nel 1989, respingendo anche il progetto di confederazione europea di Mitterrand. Temendo una possibile unificazione dell’Europa al di fuori delle istituzioni atlantiche, Washington insistette sull’universalismo della democrazia liberale come base dell’ordine europeo, mirando a estendere il sistema transatlantico sotto la propria guida. La scelta dei nomi, a distanza di decenni, suona davvero curiosa. Gli anglo-americani non hanno mai dismesso la strategia di marketing comunicativo secondo la quale gli USA erano a libertà mentre l’Est Europa era la schiavitù e l’oppressione, anche quando ciò si è rivelato esattamente l’opposto.
Nonostante i molti contrasti, la fine della Guerra Fredda portò a progressi nell’integrazione paneuropea. La Carta di Parigi per una nuova Europa del 1990, ispirata agli Accordi di Helsinki, delineava un nuovo ordine di sicurezza, ribadendo i principi di sovranità eguale, sicurezza indivisibile e un continente senza barriere. In tutto ciò, permaneva una contraddizione tra il diritto degli Stati di scegliere liberamente le proprie alleanze e il principio della sicurezza indivisibile. Sebbene ogni Stato avesse il diritto di aderire alla NATO, l’espansione dell’Alleanza ridividerebbe il continente e minerebbe il concetto di sicurezza comune. E poiché la NATO divenne il principale garante della sicurezza in Europa, agli Stati non rimaneva che aderire per garantirsi protezione, dato che qualsiasi alternativa indipendente veniva osteggiata da Washington. Gli sforzi russi per promuovere un’integrazione alternativa, come il progetto di unione economica tra Russia, Bielorussia, Ucraina e Kazakistan nel 2004, furono visti come tentativi di restaurare l’influenza russa e furono respinti dall’Occidente. Simili opposizioni si verificarono nei confronti di accordi di sicurezza tra Cina e altre nazioni, dimostrando che il principio della “libertà di scelta” veniva sostenuto solo quando favoriva l’ordine atlantico.
L’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), creata nel 1994 per rafforzare i principi di Helsinki, rimase marginale a causa della riluttanza statunitense a condividere la leadership della sicurezza europea. La NATO si confermò così come il principale strumento del dominio americano nel continente. Come osservò Brzezinski, “l’Europa è la testa di ponte geopolitica essenziale dell’America in Eurasia” e la NATO servì a radicare la presenza politica e militare statunitense nella regione.
Dividere l’Europa per consolidare l’egemonia statunitense
L’espansione della NATO portò a una nuova divisione dell’Europa e a una rinnovata ostilità con la Russia. Nel 1994, il presidente statunitense Clinton riconobbe che un allargamento dell’Alleanza avrebbe potuto ricreare divisioni, e propose inizialmente un Partenariato per la Pace come alternativa. Tuttavia, questa iniziativa si trasformò rapidamente in un trampolino di lancio per l’adesione alla NATO, rendendo evidente l’intenzione di Washington di integrare progressivamente gli ex Stati del Patto di Varsavia nell’Alleanza.
Nonostante le rassicurazioni occidentali, la Russia interpretò queste mosse come una minaccia alla propria sicurezza. Già nel 1994, Boris Eltsin avvertì Clinton che la NATO stava creando “una nuova spaccatura in Europa”. Molti diplomatici americani, come l’ambasciatore Pickering, riconobbero l’estrema sensibilità della Russia verso l’espansione dell’Alleanza. Tuttavia, la convinzione che Mosca fosse troppo debole per reagire prevalse a Washington. Il Segretario alla Difesa William Perry ammise che gli Stati Uniti avevano ignorato le preoccupazioni russe, trattandola come una “potenza di terza categoria”.
Molti esperti di politica estera si opposero all’espansione della NATO, temendo che avrebbe isolato la Russia e reso impossibile una vera sicurezza collettiva. Nel 1997, cinquanta analisti americani scrissero a Clinton definendo l’allargamento dell’Alleanza “un errore storico”. La strategia statunitense si basava sull’idea che la Russia, indebolita, avrebbe dovuto accettare il nuovo equilibrio di potere. Questa presunzione si rivelò errata, portando a un deterioramento delle relazioni e all’emergere di una nuova fase di confronto geopolitico.
Una strategia di neo-contenimento
Serviva una strategia di contenimento totalmente diversa. John Matlock – ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica dal 1987 al 1991 e tra i protagonisti dei negoziati per la fine della Guerra Fredda – ha sottolineato che l’opinione pubblica era stata indotta a credere che la NATO mirasse a eliminare le divisioni in Europa, quando in realtà queste erano già scomparse. Secondo lui, «l’espansione dell’alleanza militare che aveva mantenuto una linea difensiva nel cuore del continente era un modo sicuro per riaccendere le fratture». Invece di onorare l’impegno a costruire un’architettura di sicurezza europea inclusiva, Matlock ha affermato che Washington ha ripetuto l’errore del Trattato di Versailles del 1919, escludendo la Russia e imponendo un sistema di sicurezza che perpetuava la sua fragilità.
Nonostante la retorica ufficiale sull’estensione della pace e della stabilità, la NATO ha parallelamente preparato un eventuale confronto con la Russia. I sostenitori della decisione di Clinton di allargare l’alleanza militare giustificavano l’iniziativa definendola una “polizza assicurativa” contro possibili tensioni future con Mosca. Ciò che Eltsin percepiva, era che i suoi interlocutori a Washington stavano preparando un’assicurazione per garantirsi un vantaggio sulla Russia nel caso in cui le relazioni si deteriorassero. Già nel gennaio 1994, prima che l’espansione della NATO fosse decisa, il Segretario di Stato Warren Christopher e il consigliere di Clinton per la Russia, Strobe Talbott, sostenevano che l’allargamento dell’alleanza avrebbe agevolato il contenimento di Mosca. Così, dopo la Guerra Fredda, la NATO giustificava la propria esistenza affrontando le minacce alla sicurezza che la sua stessa espansione contribuiva a generare. L’ex Segretario di Stato James Baker avvertì che questa strategia rischiava di trasformarsi in una profezia che si autoavvera: chi sosteneva l’allargamento dell’alleanza voleva essere preparato nel caso in cui la Russia rispondesse espandendosi a sua volta, ma questa stessa espansione avrebbe potuto spingerla a farlo. Criticando il ritorno alla politica di contenimento, Baker sottolineò un punto fondamentale: «Il modo migliore per crearsi un nemico è cercarne uno, e temo che stiamo facendo proprio questo nel tentativo di isolare la Russia».
Per evitare di provocare una reazione ostile da parte di Mosca o di apparire troppo aggressivi, nel 1994 i sostenitori dell’espansione all’interno del Consiglio di Sicurezza Nazionale sostennero che la coesione della NATO dipendeva dall’ambiguità strategica nei confronti della Russia. Mentre alcuni Stati dell’Europa occidentale non erano disposti a dichiarare apertamente che Mosca fosse una minaccia, alcuni Paesi dell’Europa orientale avrebbero perso fiducia nell’alleanza se questa non fosse stata percepita come un baluardo contro la Russia. Sebbene i Paesi dell’Europa orientale avessero ragioni storiche per temere Mosca, l’uso della NATO come strumento di contenimento aggravava il dilemma della sicurezza, aumentando l’insicurezza russa. Il rapporto tra la NATO e la Russia, di conseguenza, si è sviluppato attorno alla contraddittoria “dicotomia deterrenza-cooperazione”: da un lato, l’alleanza cercava di contenere Mosca, dall’altro tentava di rassicurarla negando di considerarla un pericolo, per evitare reazioni negative.
Gli USA hanno interesse a mantenere un livello di tensione con la Russia, così da alimentare l’idea di una minaccia esterna, rafforzando la coesione dell’alleanza e limitando l’integrazione economica con Mosca. L’influenza americana in Europa dipende fortemente dalla dipendenza della regione dalla sicurezza garantita da Washington: un eccesso di fiducia e stabilità ridurrebbe questo controllo. Inoltre, il complesso militare-industriale ha svolto un ruolo chiave nel promuovere l’espansione della NATO, vedendovi un’opportunità per aumentare i profitti. Si sono inventati di think tank come strumento per rimpinguare il territorio e smaltire un po’ di lavoro da fare per procedere nell’espansione.
Verso una nuova guerra fredda
Molti leader americani erano consapevoli che il conflitto, e persino la guerra, potessero essere conseguenze probabili dell’espansione della NATO.
Nel 1997, durante un’audizione al Senato, l’ambasciatore Matlock avvertì che l’allargamento della NATO poteva essere «il più grande errore strategico dalla fine della Guerra Fredda». Spiegò che questa politica «potrebbe innescare una serie di eventi capaci di generare la minaccia più seria alla sicurezza americana dal crollo dell’Unione Sovietica». In termini altrettanto forti, Pat Buchanan, ex consigliere di Nixon, attribuì a Washington la responsabilità dell’aumento del risentimento in Russia: «È colpa dell’élite americana, che ha fatto di tutto per umiliare Mosca. Perché lo stiamo facendo?». Buchanan previde che la Russia avrebbe finito per rispondere a questa minaccia, costringendo gli Stati Uniti a scegliere tra uno scontro con una potenza nucleare determinata a ristabilire la propria sfera d’influenza o il ritiro degli impegni presi con la NATO.
L’espansione della NATO ha alterato profondamente l’equilibrio militare europeo, contribuendo al progressivo smantellamento dei trattati di controllo degli armamenti. Il deterioramento del Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa (CFE), accentuato dallo scudo missilistico della NATO, è stato un chiaro segnale. Anche trattati fondamentali come il Trattato sui missili anti-balistici (ABM), il Trattato INF e il Trattato Open Skies sono crollati, segnando il declino di un’architettura di sicurezza basata sulla cooperazione e su vincoli reciproci.
Dall’inizio degli anni Duemila, l’espansione della NATO è proseguita con ritmo incalzante e di pari passo con l’accelerazione che la Federazione Russa aveva assunto sul piano economico e commerciale, riaffermandoci come potenza globale. Gli americani – e gli inglesi – sapevano come farlo e quando farlo.
Destabilizzare e dissolvere l’ordine pan-europeo risultò fondamentale per aprire al passo successivo: portare la guerra in Europa. Ed eccoci ai giorni d’oggi.