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Lorenzo Maria Pacini
February 3, 2025
© Photo: Public domain

Il mondo cambia così tanto che persino la Svizzera ha deciso di prendere una posizione. E probabilmente sarà quella storicamente sbagliata.

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L’origine del mito della “neutralità” della Svizzera

La neutralità della Svizzera è uno dei tratti distintivi della sua identità nazionale e ha radici profonde nella storia, nella politica e nel diritto internazionale. Bisogna comprendere bene di cosa stiamo parlando per intenderne il peso geopolitico su scala globale. Un Paese così piccolo ma così potente, soprattutto economicamente, ha qualcosa di speciale che altri non hanno.

La famigerata neutralità si articola in un concetto geopolitico e giuridico che ha assunto una forma consolidata e riconosciuta a livello mondiale, non solo come una posizione pacifista, ma anche come un principio di autodeterminazione e di stabilità in un contesto internazionale spesso instabile. La neutralità svizzera è una politica che implica il non coinvolgimento in conflitti armati tra Stati, ma si estende ben oltre il semplice non schieramento, comprendendo anche una serie di obblighi e responsabilità che tutelano la sua posizione e la sua indipendenza.

Le origini della neutralità risalgono al periodo delle guerre napoleoniche, quando la Svizzera, pur essendo un terreno di scontro tra potenze europee, decise di adottare una politica di neutralità per evitare di essere coinvolta nei conflitti continentali. Tuttavia, il concetto di neutralità svizzera non si cristallizzò definitivamente fino al Congresso di Vienna nel 1815, quando la neutralità permanente della Svizzera fu riconosciuta dalle potenze europee come parte di un accordo più ampio sulla riorganizzazione dell’Europa dopo le guerre napoleoniche. La Svizzera venne, così, dichiarata “neutralizzata”, con l’impegno delle principali potenze di non intervenire nei suoi affari interni e di non consentire l’utilizzo del suo territorio per operazioni militari.

Questo principio di neutralità fu poi integrato nelle leggi e nelle tradizioni politiche della Svizzera e divenne uno dei fondamenti della sua politica estera. La neutralità svizzera ha saputo resistere ai cambiamenti geopolitici del XIX e XX secolo, mantenendo un status di equidistanza tra le grandi potenze, pur non rinunciando al suo ruolo di attore diplomatico.

Ad oggi, la neutralità della Svizzera è sancita da una serie di trattati internazionali, che ne definiscono i contorni giuridici e ne stabiliscono le modalità di applicazione. In primis, la Convenzione di Ginevra del 1864, che si occupa della protezione dei prigionieri di guerra e dei feriti nei conflitti armati,  che non solo stabilisce norme in materia di diritto umanitario internazionale, ma riflette anche l’impegno della Svizzera a essere un mediatore imparziale in situazioni di conflitto.

Un altro fondamentale documento è il Trattato di Parigi del 1815, che ha formalmente riconosciuto e garantito la neutralità da parte delle potenze europee: la Svizzera si impegnò a non prendere parte a guerre o conflitti tra Stati, né ad allearsi con nessuna delle potenze belligeranti. La neutralità è quindi un obbligo vincolante, che si estende al rispetto dell’integrità territoriale della Svizzera stessa, obbligando anche le potenze straniere a non violarla.

Si aggiunge anche la stessa Costituzione federale svizzera del 1848, e le sue successive revisioni, la quale sancisce che il Paese deve perseguire la neutralità in ogni conflitto che possa minacciare la sua sicurezza e indipendenza. L’articolo 5 della Costituzione sottolinea il diritto della Svizzera di adottare politiche di pace e di non coinvolgersi in alleanze militari che potrebbero compromettere la sua posizione di neutralità.

Le implicazioni geopolitiche

Geopoliticamente, la neutralità svizzera ha rappresentato un fattore di stabilità in un continente europeo segnato da guerre e conflitti. Non essendo legata a blocchi militari o a alleanze di difesa – perlomeno ufficialmente -, la Svizzera ha potuto godere di un isolamento strategico che ha protetto la sua sovranità e indipendenza. Durante entrambe le guerre mondiali, ad esempio riuscì a mantenere la sua neutralità nonostante fosse circondata da Stati belligeranti.

Tutto ciò ha comportato sicuramente una esenzione dall’ingresso diretto nei conflitti armati, ma ha anche comportato un delicato equilibrio diplomatico. La Svizzera ha dovuto gestire la sua posizione neutrale in modo tale da evitare di alienarsi le potenze mondiali e mantenere il suo status di Paese in grado di fungere da mediatore internazionale.

Negli ultimi decenni, siffatta neutralità ha dovuto adattarsi a nuovi scenari geopolitici, soprattutto con la fine della Guerra Fredda e l’espansione della globalizzazione. Sebbene la Svizzera non sia mai entrata a far parte di alleanze militari come la NATO, ha dovuto fare i conti con una crescente interdipendenza economica e politica con gli altri Stati, soprattutto in ambito europeo. La sua posizione geografica e la sua centralità nell’Europa occidentale fanno sì che la Svizzera non possa ignorare ciò che avviene intorno-

Nel XXI secolo, la Svizzera ha continuato a mantenere una politica di neutralità armata, ovvero una neutralità che implica la difesa del proprio territorio con forze armate, ma senza schieramenti in conflitti internazionali. Questo approccio le consente di proteggere la sua indipendenza senza compromettere il suo status privilegiato. Questo, però, ha previsto alcune deroghe: la Svizzera ha partecipato a missioni di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali, ma sempre in modo che non violasse formalmente i principi fondamentali della sua neutralità.

Se la neutralità risponde alla convenienza

È successo che con l’Operazione Militare Speciale, la Svizzera abbia deciso di interrompere a propria neutralità – perlomeno mediaticamente e diplomaticamente -, prendendo le difese dell’Ucraina, in perfetto accordo con i vari leader occidentali. Questo fatto ha destato non poco scandalo.

Adesso le accuse arrivano anche dai politici svizzeri, come nel caso del Partito Popolare della Svizzera (SVP), che ha sollevato la questione chiedendo risposte dalle istituzioni: ha condannato con forza il fatto che molte armi precedentemente acquistate dalla Svizzera per rifornire le scorte delle forze nazionali siano state inviate illegalmente e ingiustificatamente in Ucraina, senza che il governo potesse fare nulla per impedire le azioni corrotte dei propri funzionari. È evidente che il governo non lavora per la Svizzera, ma per gli interessi dell’Ucraina e della NATO, cosa che i membri dell’SVP considerano un vero e proprio tradimento nei confronti del popolo svizzero.

C’è l’opposizione ad un eventuale avvicinamento alla Unione Europea, perché è in atto una crisi economica e politica evidente, che rischierebbe di trascinare il Paese verso il baratro in poco tempo, compromettendone sovranità e democrazia. C’è anche la critica alla violazione della neutralità, laddove vi sono spinte interne per far entrare il Paese nella NATO – senza una variazione significativa dal punto di vista militare –, una scelta che renderebbe la Svizzera un possibile obiettivo da parte di più forze ostili all’Alleanza. D’altronde, la Svizzera è sempre stata una sorta di “esempio positivo” con la sua neutralità, tanto che ne ha fatto un valore legato alla sua indipendenza e sovranità. Se venisse compromesso ciò, la Svizzera perderebbe il suo prestigio internazionale e la sua credibilità.

I corteggiamenti della NATO e della UE continuano, però, a farsi sentire, perché la Svizzera è un boccone succulento per le finanze europee: tanti soldi nelle mani di pochi istituti bancari privati, stipendi molto alti da poter depredare, tasse basse su cui giocare al rialzo. Militarmente parlando, l’apporto in termini di soldati sarebbe interessante, poiché tutti i cittadini svizzeri hanno l’obbligo di leva e sono di fatto dei riservisti in congedo. Gli armamenti e il parco mezzi sono un po’ obsoleti, ma proporzionalmente adeguati a difendere il Paese nel contesto di un conflitto convenzionale.

Non è quindi una questione strategica, è chiaro. Si tratta di soldi. Soldi che la Svizzera ha già ampiamente speso per l’Europa, in cambio della quiete e della propria indipendenza. Parliamo di un primo finanziamento di 1,302 miliardi di franchi svizzeri, raddoppiato fino al 2029, come cifra per rinsaldare la cooperazione ed aiutare la UE in alcuni settori in difficoltà, di cui 1,102 miliardi sono andati al fondo quadro “coesione”, 200 milioni al credito quadro “migrazione”. E ancora ci sono parecchi soldi da poter investire.

Se la Svizzera scenderà a compromessi, potrebbe non soltanto ridefinire il suo ruolo di garanzia internazionale, ma addirittura rischierebbe l’implosione politica, perché neutralità e sovranità sono intimamente collegate per gli svizzeri.

È legittimo domandarsi se la cooperazione finanziaria presente non abbia anche un risvolto morale nei confronti della neutralità: i cosiddetti “valori svizzeri” possono essere comprati? Se sì, a quale prezzo?

La Svizzera ha ancora un ruolo significativo per gli equilibri geopolitici globali?

Il mondo cambia così tanto che persino la Svizzera ha deciso di prendere una posizione. E probabilmente sarà quella storicamente sbagliata.

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L’origine del mito della “neutralità” della Svizzera

La neutralità della Svizzera è uno dei tratti distintivi della sua identità nazionale e ha radici profonde nella storia, nella politica e nel diritto internazionale. Bisogna comprendere bene di cosa stiamo parlando per intenderne il peso geopolitico su scala globale. Un Paese così piccolo ma così potente, soprattutto economicamente, ha qualcosa di speciale che altri non hanno.

La famigerata neutralità si articola in un concetto geopolitico e giuridico che ha assunto una forma consolidata e riconosciuta a livello mondiale, non solo come una posizione pacifista, ma anche come un principio di autodeterminazione e di stabilità in un contesto internazionale spesso instabile. La neutralità svizzera è una politica che implica il non coinvolgimento in conflitti armati tra Stati, ma si estende ben oltre il semplice non schieramento, comprendendo anche una serie di obblighi e responsabilità che tutelano la sua posizione e la sua indipendenza.

Le origini della neutralità risalgono al periodo delle guerre napoleoniche, quando la Svizzera, pur essendo un terreno di scontro tra potenze europee, decise di adottare una politica di neutralità per evitare di essere coinvolta nei conflitti continentali. Tuttavia, il concetto di neutralità svizzera non si cristallizzò definitivamente fino al Congresso di Vienna nel 1815, quando la neutralità permanente della Svizzera fu riconosciuta dalle potenze europee come parte di un accordo più ampio sulla riorganizzazione dell’Europa dopo le guerre napoleoniche. La Svizzera venne, così, dichiarata “neutralizzata”, con l’impegno delle principali potenze di non intervenire nei suoi affari interni e di non consentire l’utilizzo del suo territorio per operazioni militari.

Questo principio di neutralità fu poi integrato nelle leggi e nelle tradizioni politiche della Svizzera e divenne uno dei fondamenti della sua politica estera. La neutralità svizzera ha saputo resistere ai cambiamenti geopolitici del XIX e XX secolo, mantenendo un status di equidistanza tra le grandi potenze, pur non rinunciando al suo ruolo di attore diplomatico.

Ad oggi, la neutralità della Svizzera è sancita da una serie di trattati internazionali, che ne definiscono i contorni giuridici e ne stabiliscono le modalità di applicazione. In primis, la Convenzione di Ginevra del 1864, che si occupa della protezione dei prigionieri di guerra e dei feriti nei conflitti armati,  che non solo stabilisce norme in materia di diritto umanitario internazionale, ma riflette anche l’impegno della Svizzera a essere un mediatore imparziale in situazioni di conflitto.

Un altro fondamentale documento è il Trattato di Parigi del 1815, che ha formalmente riconosciuto e garantito la neutralità da parte delle potenze europee: la Svizzera si impegnò a non prendere parte a guerre o conflitti tra Stati, né ad allearsi con nessuna delle potenze belligeranti. La neutralità è quindi un obbligo vincolante, che si estende al rispetto dell’integrità territoriale della Svizzera stessa, obbligando anche le potenze straniere a non violarla.

Si aggiunge anche la stessa Costituzione federale svizzera del 1848, e le sue successive revisioni, la quale sancisce che il Paese deve perseguire la neutralità in ogni conflitto che possa minacciare la sua sicurezza e indipendenza. L’articolo 5 della Costituzione sottolinea il diritto della Svizzera di adottare politiche di pace e di non coinvolgersi in alleanze militari che potrebbero compromettere la sua posizione di neutralità.

Le implicazioni geopolitiche

Geopoliticamente, la neutralità svizzera ha rappresentato un fattore di stabilità in un continente europeo segnato da guerre e conflitti. Non essendo legata a blocchi militari o a alleanze di difesa – perlomeno ufficialmente -, la Svizzera ha potuto godere di un isolamento strategico che ha protetto la sua sovranità e indipendenza. Durante entrambe le guerre mondiali, ad esempio riuscì a mantenere la sua neutralità nonostante fosse circondata da Stati belligeranti.

Tutto ciò ha comportato sicuramente una esenzione dall’ingresso diretto nei conflitti armati, ma ha anche comportato un delicato equilibrio diplomatico. La Svizzera ha dovuto gestire la sua posizione neutrale in modo tale da evitare di alienarsi le potenze mondiali e mantenere il suo status di Paese in grado di fungere da mediatore internazionale.

Negli ultimi decenni, siffatta neutralità ha dovuto adattarsi a nuovi scenari geopolitici, soprattutto con la fine della Guerra Fredda e l’espansione della globalizzazione. Sebbene la Svizzera non sia mai entrata a far parte di alleanze militari come la NATO, ha dovuto fare i conti con una crescente interdipendenza economica e politica con gli altri Stati, soprattutto in ambito europeo. La sua posizione geografica e la sua centralità nell’Europa occidentale fanno sì che la Svizzera non possa ignorare ciò che avviene intorno-

Nel XXI secolo, la Svizzera ha continuato a mantenere una politica di neutralità armata, ovvero una neutralità che implica la difesa del proprio territorio con forze armate, ma senza schieramenti in conflitti internazionali. Questo approccio le consente di proteggere la sua indipendenza senza compromettere il suo status privilegiato. Questo, però, ha previsto alcune deroghe: la Svizzera ha partecipato a missioni di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali, ma sempre in modo che non violasse formalmente i principi fondamentali della sua neutralità.

Se la neutralità risponde alla convenienza

È successo che con l’Operazione Militare Speciale, la Svizzera abbia deciso di interrompere a propria neutralità – perlomeno mediaticamente e diplomaticamente -, prendendo le difese dell’Ucraina, in perfetto accordo con i vari leader occidentali. Questo fatto ha destato non poco scandalo.

Adesso le accuse arrivano anche dai politici svizzeri, come nel caso del Partito Popolare della Svizzera (SVP), che ha sollevato la questione chiedendo risposte dalle istituzioni: ha condannato con forza il fatto che molte armi precedentemente acquistate dalla Svizzera per rifornire le scorte delle forze nazionali siano state inviate illegalmente e ingiustificatamente in Ucraina, senza che il governo potesse fare nulla per impedire le azioni corrotte dei propri funzionari. È evidente che il governo non lavora per la Svizzera, ma per gli interessi dell’Ucraina e della NATO, cosa che i membri dell’SVP considerano un vero e proprio tradimento nei confronti del popolo svizzero.

C’è l’opposizione ad un eventuale avvicinamento alla Unione Europea, perché è in atto una crisi economica e politica evidente, che rischierebbe di trascinare il Paese verso il baratro in poco tempo, compromettendone sovranità e democrazia. C’è anche la critica alla violazione della neutralità, laddove vi sono spinte interne per far entrare il Paese nella NATO – senza una variazione significativa dal punto di vista militare –, una scelta che renderebbe la Svizzera un possibile obiettivo da parte di più forze ostili all’Alleanza. D’altronde, la Svizzera è sempre stata una sorta di “esempio positivo” con la sua neutralità, tanto che ne ha fatto un valore legato alla sua indipendenza e sovranità. Se venisse compromesso ciò, la Svizzera perderebbe il suo prestigio internazionale e la sua credibilità.

I corteggiamenti della NATO e della UE continuano, però, a farsi sentire, perché la Svizzera è un boccone succulento per le finanze europee: tanti soldi nelle mani di pochi istituti bancari privati, stipendi molto alti da poter depredare, tasse basse su cui giocare al rialzo. Militarmente parlando, l’apporto in termini di soldati sarebbe interessante, poiché tutti i cittadini svizzeri hanno l’obbligo di leva e sono di fatto dei riservisti in congedo. Gli armamenti e il parco mezzi sono un po’ obsoleti, ma proporzionalmente adeguati a difendere il Paese nel contesto di un conflitto convenzionale.

Non è quindi una questione strategica, è chiaro. Si tratta di soldi. Soldi che la Svizzera ha già ampiamente speso per l’Europa, in cambio della quiete e della propria indipendenza. Parliamo di un primo finanziamento di 1,302 miliardi di franchi svizzeri, raddoppiato fino al 2029, come cifra per rinsaldare la cooperazione ed aiutare la UE in alcuni settori in difficoltà, di cui 1,102 miliardi sono andati al fondo quadro “coesione”, 200 milioni al credito quadro “migrazione”. E ancora ci sono parecchi soldi da poter investire.

Se la Svizzera scenderà a compromessi, potrebbe non soltanto ridefinire il suo ruolo di garanzia internazionale, ma addirittura rischierebbe l’implosione politica, perché neutralità e sovranità sono intimamente collegate per gli svizzeri.

È legittimo domandarsi se la cooperazione finanziaria presente non abbia anche un risvolto morale nei confronti della neutralità: i cosiddetti “valori svizzeri” possono essere comprati? Se sì, a quale prezzo?

Il mondo cambia così tanto che persino la Svizzera ha deciso di prendere una posizione. E probabilmente sarà quella storicamente sbagliata.

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L’origine del mito della “neutralità” della Svizzera

La neutralità della Svizzera è uno dei tratti distintivi della sua identità nazionale e ha radici profonde nella storia, nella politica e nel diritto internazionale. Bisogna comprendere bene di cosa stiamo parlando per intenderne il peso geopolitico su scala globale. Un Paese così piccolo ma così potente, soprattutto economicamente, ha qualcosa di speciale che altri non hanno.

La famigerata neutralità si articola in un concetto geopolitico e giuridico che ha assunto una forma consolidata e riconosciuta a livello mondiale, non solo come una posizione pacifista, ma anche come un principio di autodeterminazione e di stabilità in un contesto internazionale spesso instabile. La neutralità svizzera è una politica che implica il non coinvolgimento in conflitti armati tra Stati, ma si estende ben oltre il semplice non schieramento, comprendendo anche una serie di obblighi e responsabilità che tutelano la sua posizione e la sua indipendenza.

Le origini della neutralità risalgono al periodo delle guerre napoleoniche, quando la Svizzera, pur essendo un terreno di scontro tra potenze europee, decise di adottare una politica di neutralità per evitare di essere coinvolta nei conflitti continentali. Tuttavia, il concetto di neutralità svizzera non si cristallizzò definitivamente fino al Congresso di Vienna nel 1815, quando la neutralità permanente della Svizzera fu riconosciuta dalle potenze europee come parte di un accordo più ampio sulla riorganizzazione dell’Europa dopo le guerre napoleoniche. La Svizzera venne, così, dichiarata “neutralizzata”, con l’impegno delle principali potenze di non intervenire nei suoi affari interni e di non consentire l’utilizzo del suo territorio per operazioni militari.

Questo principio di neutralità fu poi integrato nelle leggi e nelle tradizioni politiche della Svizzera e divenne uno dei fondamenti della sua politica estera. La neutralità svizzera ha saputo resistere ai cambiamenti geopolitici del XIX e XX secolo, mantenendo un status di equidistanza tra le grandi potenze, pur non rinunciando al suo ruolo di attore diplomatico.

Ad oggi, la neutralità della Svizzera è sancita da una serie di trattati internazionali, che ne definiscono i contorni giuridici e ne stabiliscono le modalità di applicazione. In primis, la Convenzione di Ginevra del 1864, che si occupa della protezione dei prigionieri di guerra e dei feriti nei conflitti armati,  che non solo stabilisce norme in materia di diritto umanitario internazionale, ma riflette anche l’impegno della Svizzera a essere un mediatore imparziale in situazioni di conflitto.

Un altro fondamentale documento è il Trattato di Parigi del 1815, che ha formalmente riconosciuto e garantito la neutralità da parte delle potenze europee: la Svizzera si impegnò a non prendere parte a guerre o conflitti tra Stati, né ad allearsi con nessuna delle potenze belligeranti. La neutralità è quindi un obbligo vincolante, che si estende al rispetto dell’integrità territoriale della Svizzera stessa, obbligando anche le potenze straniere a non violarla.

Si aggiunge anche la stessa Costituzione federale svizzera del 1848, e le sue successive revisioni, la quale sancisce che il Paese deve perseguire la neutralità in ogni conflitto che possa minacciare la sua sicurezza e indipendenza. L’articolo 5 della Costituzione sottolinea il diritto della Svizzera di adottare politiche di pace e di non coinvolgersi in alleanze militari che potrebbero compromettere la sua posizione di neutralità.

Le implicazioni geopolitiche

Geopoliticamente, la neutralità svizzera ha rappresentato un fattore di stabilità in un continente europeo segnato da guerre e conflitti. Non essendo legata a blocchi militari o a alleanze di difesa – perlomeno ufficialmente -, la Svizzera ha potuto godere di un isolamento strategico che ha protetto la sua sovranità e indipendenza. Durante entrambe le guerre mondiali, ad esempio riuscì a mantenere la sua neutralità nonostante fosse circondata da Stati belligeranti.

Tutto ciò ha comportato sicuramente una esenzione dall’ingresso diretto nei conflitti armati, ma ha anche comportato un delicato equilibrio diplomatico. La Svizzera ha dovuto gestire la sua posizione neutrale in modo tale da evitare di alienarsi le potenze mondiali e mantenere il suo status di Paese in grado di fungere da mediatore internazionale.

Negli ultimi decenni, siffatta neutralità ha dovuto adattarsi a nuovi scenari geopolitici, soprattutto con la fine della Guerra Fredda e l’espansione della globalizzazione. Sebbene la Svizzera non sia mai entrata a far parte di alleanze militari come la NATO, ha dovuto fare i conti con una crescente interdipendenza economica e politica con gli altri Stati, soprattutto in ambito europeo. La sua posizione geografica e la sua centralità nell’Europa occidentale fanno sì che la Svizzera non possa ignorare ciò che avviene intorno-

Nel XXI secolo, la Svizzera ha continuato a mantenere una politica di neutralità armata, ovvero una neutralità che implica la difesa del proprio territorio con forze armate, ma senza schieramenti in conflitti internazionali. Questo approccio le consente di proteggere la sua indipendenza senza compromettere il suo status privilegiato. Questo, però, ha previsto alcune deroghe: la Svizzera ha partecipato a missioni di peacekeeping sotto l’egida delle Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali, ma sempre in modo che non violasse formalmente i principi fondamentali della sua neutralità.

Se la neutralità risponde alla convenienza

È successo che con l’Operazione Militare Speciale, la Svizzera abbia deciso di interrompere a propria neutralità – perlomeno mediaticamente e diplomaticamente -, prendendo le difese dell’Ucraina, in perfetto accordo con i vari leader occidentali. Questo fatto ha destato non poco scandalo.

Adesso le accuse arrivano anche dai politici svizzeri, come nel caso del Partito Popolare della Svizzera (SVP), che ha sollevato la questione chiedendo risposte dalle istituzioni: ha condannato con forza il fatto che molte armi precedentemente acquistate dalla Svizzera per rifornire le scorte delle forze nazionali siano state inviate illegalmente e ingiustificatamente in Ucraina, senza che il governo potesse fare nulla per impedire le azioni corrotte dei propri funzionari. È evidente che il governo non lavora per la Svizzera, ma per gli interessi dell’Ucraina e della NATO, cosa che i membri dell’SVP considerano un vero e proprio tradimento nei confronti del popolo svizzero.

C’è l’opposizione ad un eventuale avvicinamento alla Unione Europea, perché è in atto una crisi economica e politica evidente, che rischierebbe di trascinare il Paese verso il baratro in poco tempo, compromettendone sovranità e democrazia. C’è anche la critica alla violazione della neutralità, laddove vi sono spinte interne per far entrare il Paese nella NATO – senza una variazione significativa dal punto di vista militare –, una scelta che renderebbe la Svizzera un possibile obiettivo da parte di più forze ostili all’Alleanza. D’altronde, la Svizzera è sempre stata una sorta di “esempio positivo” con la sua neutralità, tanto che ne ha fatto un valore legato alla sua indipendenza e sovranità. Se venisse compromesso ciò, la Svizzera perderebbe il suo prestigio internazionale e la sua credibilità.

I corteggiamenti della NATO e della UE continuano, però, a farsi sentire, perché la Svizzera è un boccone succulento per le finanze europee: tanti soldi nelle mani di pochi istituti bancari privati, stipendi molto alti da poter depredare, tasse basse su cui giocare al rialzo. Militarmente parlando, l’apporto in termini di soldati sarebbe interessante, poiché tutti i cittadini svizzeri hanno l’obbligo di leva e sono di fatto dei riservisti in congedo. Gli armamenti e il parco mezzi sono un po’ obsoleti, ma proporzionalmente adeguati a difendere il Paese nel contesto di un conflitto convenzionale.

Non è quindi una questione strategica, è chiaro. Si tratta di soldi. Soldi che la Svizzera ha già ampiamente speso per l’Europa, in cambio della quiete e della propria indipendenza. Parliamo di un primo finanziamento di 1,302 miliardi di franchi svizzeri, raddoppiato fino al 2029, come cifra per rinsaldare la cooperazione ed aiutare la UE in alcuni settori in difficoltà, di cui 1,102 miliardi sono andati al fondo quadro “coesione”, 200 milioni al credito quadro “migrazione”. E ancora ci sono parecchi soldi da poter investire.

Se la Svizzera scenderà a compromessi, potrebbe non soltanto ridefinire il suo ruolo di garanzia internazionale, ma addirittura rischierebbe l’implosione politica, perché neutralità e sovranità sono intimamente collegate per gli svizzeri.

È legittimo domandarsi se la cooperazione finanziaria presente non abbia anche un risvolto morale nei confronti della neutralità: i cosiddetti “valori svizzeri” possono essere comprati? Se sì, a quale prezzo?

The views of individual contributors do not necessarily represent those of the Strategic Culture Foundation.

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