Stavamo aspettando questo momento: il già Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, è entrato in comando al Comitato Militare NATO. E il problema è che potrebbe succedere qualcosa di molto spiacevole durante questo anno.
La minaccia incombe
È partito alla grande l’Ammiraglio, inaugurando il suo servizio al Comitato Militare NATO. In una intervista al Corriere della Sera ha dichiarato che «La pace e la sicurezza non sono gratis. Ma la guerra ha costi immensamente superiori. In linea di massima il presidente Trump ha le sue ragioni. Dobbiamo spendere di più. Prima ancora, spendere meglio. I Paesi membri della Nato e dell’Unione europea hanno 172 sistemi di arma differenti. Gli americani 35. Non adottando economie di scala noi spendiamo molto di più. Difendiamo a spada tratta la nostra sovranità industriale, sbagliando. Le nostre industrie sono in ritardo».
Il Comitato Militare della NATO riunisce i Capi di Stato Maggiore della Difesa (CHOD) dei Paesi membri. Analogamente al Consiglio del Nord Atlantico, anche il comitato militare si riunisce regolarmente anche a un livello superiore, ovvero con la partecipazione diretta dei Capi di Stato Maggiore della Difesa.
Una consacrazione all’economia di guerra che poche settimane fa era stata invocata dal Segretario generale NATO, quando, commentando la situazione europea, ci faceva capire fra le righe che il fallimento di Volkswagen non fosse altro che un ricatto a Scholz e alla Germania perché si erano rifiutati di mettersi suk piede di guerra in ottica anti-russa. E in effetti anche Cavo Dragone ha commentato similmente: «Si ripete una minaccia analoga, se non peggiore, a quella che c’era durante la Guerra Fredda. Logica vorrebbe che si ritornasse a determinati valori di impegno. Vedremo come, a seconda delle nazioni, però questo è un dato di fatto. Perché la minaccia c’è. L’abbiamo alle porte di casa, è in Europa. Siamo in ritardo. Avremmo dovuto essere più previdenti e dobbiamo risalire una china».
Lo stesso Ammiraglio aveva ricordato già nel corso del 2024 che l’Italia doveva prepararsi a investire di più nella predisposizione alla guerra. Coerentemente con il piano adottato nel 2012, nel 2024 il numero di militari doveva salire a 160.000 entro il 2024, aveva invocato più soldati.
L’ennesima conferma di una Italia che parla di Pace, invoca trattative, urla di impegno e cooperazione internazionale, ma di nascosto si mette sul piede di guerra, aumenta gli armamenti, alza la spesa militare nel PIL e si prepara a chiamare giovani e meno giovani per andare a combattere. Si sa, la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi, come diceva Carl von Clausewitz.
Le prossime sfide
Nell’agenda del nuovo Capo militare, c’è la volontà di assumere una postura strategica diversa per tutta l’Alleanza, entrando, come ha detto il Segretario Generale Mark Rutte, in una “mentalità da tempo di guerra” che permetta di essere pronti agli eventi prefigurati. Ovviamente i nemici sono i soliti: la Russia che non lascia in pace l’Europa, la Cina che minaccia l’espansione marittima americana, l’Iran che è un regime oppressivo e teocratico.
L’Italia giocherà un ruolo importantissimo: ha garantito all’Ucraina ben 10 anni di aiuti militari, ha promesso a Washington tutta la disponibilità militare e continuerà ad alzare la spesa miliare in vista del famigerato 2% (attualmente siamo a 1,57%). Continuerà la partecipazione a numerose missioni NATO, in particolare nei Balcani e in Medioriente, ma soprattutto le esercitazioni di guerra, nel mentre che proseguono gli ammodernamenti tecnologici. Non soltanto impegno politico e finanziaria, ma anche operativo.
Un’Italia che, però, non è pronta per un eventuale ingaggio operativo di massa. C’è bisogno di preparazione, di armamenti e di tecnologie, nonché di preparazione. La sospensione della leva militare obbligatoria in Italia è avvenuta nel 2004, con la Legge 226/2004. Questo provvedimento ha interrotto l’obbligo per i cittadini italiani di prestare servizio militare, trasformando le forze armate in una forza prevalentemente professionale, composta da soldati volontari. Sebbene la leva fosse sospesa, il principio stesso dell’obbligo di servizio militare non fu abrogato formalmente, ma solo messo in pausa. La sospensione ha dato il via alla riorganizzazione delle forze armate, orientandole verso una struttura più snella e specializzata. Con la sospensione, l’ordinamento giuridico italiano ha deciso di non applicare più l’obbligo di leva, ma la possibilità di reintrodurlo rimane.
Rimangono anche tutti gli altri problemi. Anzitutto, l’obsolescenza e la carenza di equipaggiamenti, laddove molte delle attrezzature e dei sistemi d’arma delle forze armate italiane sono datati e necessitano di ammodernamento. Il parco veicoli, gli aerei da combattimento e le navi spesso non sono al passo con le esigenze tecnologiche moderne, limitando le capacità operative. I processi di aggiornamento e sostituzione dei materiali sono frequentemente rallentati da vincoli di bilancio e da difficoltà amministrative. Perché, effettivamente, piaccia o no, il limite alla spesa ha rappresentato una limitazione per le forze armate. È altrettanto vero che avere molti soldi non significa spendere bene. C’è poi un problema di sovraccarico e gestione dei compiti, con una grande quantità di impegni da smaltire e lo scoglio delle inefficienze istituzionali e burocratiche.
La sfida principale dovrebbe essere quella di dotarsi di Forze Armate capaci di affrontare quello che dovrebbe il primo e più importante obiettivo: liberare l’Italia dagli invasori. Ma, a quanto pare, l’occupazione militare americana che continua dal 1945 non fa notizia, e allora è meglio buttare via miliardi di euro in investimenti per fare felice il padrone, promettendogli di essere pronti a sacrificare i giovani per combattere delle proxy war senza senso.
Prima di potersi dedicare alle sfide della NATO, l’Italia dovrebbe pensare a se stessa e a rimettersi in salute, perché qualsiasi guerra, ora, sarebbe una carneficina.