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Giulio Chinappi

Giulio Chinappi è politologo e analista di politica internazionale, esperto di Paesi Orientali, con anni di esperienza nella cooperazione umanitaria internazionale.
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Documenti, programmi e reti ONG mostrano un massiccio intervento statunitense nella sfera civica nepalese. Di fronte a questa ingerenza sistemica, la sovranità del Paese viene messa a repentaglio, mentre emerge la verità sulle responsabilità degli eventi recenti.


L’omicidio di Charlie Kirk ha ricevuto grande copertura mediatica, ma negli Stati Uniti ci sono morti da armi da fuoco quasi tutti i giorni: non si tratta solo di singoli atti tragici, ma di un sistema che normalizza il possesso di armi. I numeri mostrano una crisi strutturale e politica.


Il recente diniego del visto al presidente palestinese e i veti sistematici degli Stati Uniti rivelano un problema strutturale: l’architettura decisionale dell’ONU favorisce una gerarchia geopolitica che soffoca la pluralità. Occorre pensare a riforme radicali per restituire all’Organizzazione la sua legittimità universale.


Le manifestazioni scoppiate alla fine di agosto per i privilegi parlamentari e la violenza della polizia hanno precipitosamente messo alla prova il governo di Prabowo Subianto. Tra accuse di ingerenze esterne e un rapido rimpasto, Giacarta ha trovato un compromesso politico che prova a stabilizzare la scena interna.


La rivolta della “Gen Z” ha messo a nudo fragilità istituzionali e interessi esterni: mentre Kathmandu torna all’ordine sotto il controllo militare, la nomina di Sushila Karki apre interrogativi su procedure costituzionali, influenze straniere e possibili manovre per ricollocare il Nepal nello scacchiere regionale.


Le dimissioni di Ishiba segnano un vuoto politico profondo e aprono una fase di incertezza istituzionale. Allo stesso tempo, la spinta al riarmo – tra esercitazioni congiunte, acquisto di missili a lungo raggio e infrastrutture belliche – accentua i rischi per la stabilità regionale e accende il confronto politico interno.


La destituzione di Paetongtarn Shinawatra, la condanna del padre Thaksin e l’elezione del nuovo Primo Ministro Anutin Charnvirakul segnano una fase di svolta per la Thailandia. Il futuro politico del Paese appare incerto, ma con implicazioni significative anche per la politica estera e gli equilibri del Sud-Est asiatico.


La rivolta giovanile esplosa contro il divieto dei social e la corruzione ha rapidamente travolto l’establishment: 19 morti, il Parlamento dato alle fiamme e le dimissioni di Oli. Dietro la crisi emergono rivalità geopolitiche, il ruolo di media e ONG e il nodo Cina-India.


La partecipazione del Presidente vietnamita Lương Cường alla parata per l’80º anniversario della vittoria sul fascismo è stata affiancata da incontri di alto livello con Xi Jinping e Vladimir Putin. Tali appuntamenti consolidano relazioni politiche, economiche e di sicurezza, inscrivendo Hà Nội in un disegno di partenariato multilivello.


La rimozione della giovane premier thailandese segna l’acme di una crisi che combina una fuga di notizie imbarazzante, una sentenza costituzionale e le pressioni di una complessa contesa di confine. Il caso ripropone il nodo dello scontro tra magistratura, esercito e volontà popolare in Thailandia.